I foreign fighters che dai Balcani partono per la guerra in Ucraina

La volontà dei foreign fighters di arruolarsi per combattere pro o contro la Russia in Ucraina sta attualizzando il passato delle guerre nell’ex-Jugoslavia. Per questo motivo gli Stati balcanici cercano di impedire le partenze

Non c’è angolo del mondo che non stia subendo gli effetti della guerra russa in Ucraina. A livello economico, politico o di dibattito pubblico. In Europa gli effetti si stanno sentendo anche sul piano militare: dall’invio di armi per la difesa di Kiev all’accelerazione dei preparativi di quello che dovrebbe diventare l’esercito europeo. Sono però i Balcani Occidentali la regione europea in cui si sta facendo più sentire questo tipo di conseguenza. Perché da qui sono in molti a voler partire per fare la guerra in Ucraina, supportando l’uno o l’altro fronte: i foreign fighters balcanici stanno reincarnando le divisioni delle guerre nell’ex-Jugoslavia. Il pericolo reale è che alimentino la destabilizzazione della regione, riaprendo ferite che 30 anni di storia si sperava avessero iniziato a ricucire.

Armi Ucraina


Gli appelli di Kiev e Mosca

La guerra reclama soldati, spesso anche stranieri. La storia è piena di casi di volontari partiti solo per combattere per una causa, e non per difendere il proprio Paese. Lo stesso sta succedendo con la guerra in Ucraina, in cui i due schieramenti stanno cercando di ingrossare le fila con foreign fighters ben equipaggiati e addestrati.

Il ministero della Difesa ucraino ha attivato il sito fightforua, per spiegare ai cittadini stranieri cosa fare per arruolarsi nella Legione di difesa ucraina. Nella lista dei Paesi in cui si possono prendere contatti con il consolato ucraino compaiono tutti quelli balcanici. Fatta eccezione per il Kosovo, che l’Ucraina non riconosce come Paese sovrano (nonostante Pristina si sia schierata dalla parte di Kiev). Tra i requisiti ci sono l’essere incensurati, avere un proprio equipaggiamento e la firma di un contratto. Dopodiché si può partire per Leopoli, il centro di raccolta dei volontari.

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Se Kiev sta cercando di arruolare mercenari in modo trasparente – almeno nella maggior parte dei casi – gli appelli di Mosca viaggiano perlopiù sui canali di messaggistica privata. Il 18 febbraio, a meno di una settimana dall’invasione dell’Ucraina, l’Unione dei volontari del Donbass ha pubblicato su Telegram un invito a formare un distaccamento di riserva nelle regioni separatiste di Luhansk e Donetsk. L’organizzazione riunisce volontari russi e mercenari serbi, serbo-bosniaci e di altri Paesi a maggioranza ortodossa.

La stessa tecnica è stata utilizzata per reclutare una nuova brigata di mercenari a sostegno delle forze regolari, come ha rivelato la BBC. In particolare tra i veterani del Gruppo Wagner, organizzazione militare privata segreta con sede in Russia e che si è macchiata di crimini di guerra in Siria e in Libia. L’invito a candidarsi è rivolto a “coloro che hanno precedenti penali e debiti, banditi da gruppi mercenari o senza un passaporto”.

Foreign Fighters Ucraina Ukraine


Destre contro

Chi sono i foreign fighters balcanici che vogliono partire per l’Ucraina? Tendenzialmente sono estremisti di destra, violenti, ancorati al passato delle guerre nell’ex-Jugoslavia (almeno a livello ideologico) e con ideali tutt’altro che alti. Provengono da tutti i Paesi della regione, ma con una netta maggioranza da Serbia e Croazia. Ovviamente, sui due fronti opposti. Il fenomeno non è nuovo, ma prosegue ininterrottamente dal 2014, l’anno dello scoppio delle violenze nel Donbass e dell’annessione della Crimea da parte della Russia.

Dalla Serbia, così come dalla Republika Srpska (Bosnia ed Erzegovina), le partenze verso la Russia non si sono mai fermate. La ‘neutralità’ di Belgrado ha permesso ad Air Serbia di continuare a volare tra Belgrado e Mosca. Secondo i dati dell’ambasciata ucraina in Serbia, più di 300 cittadini hanno lasciato il Paese per combattere nel Donbass negli ultimi otto anni. Al momento non si hanno stime sul numero di partenze dal 24 febbraio a oggi, ma è certo che le organizzazioni serbe di estrema destra le stiano incoraggiando e in un certo modo stiano minando la politica attendista del presidente Aleksandar Vučić.

Il 4 marzo il gruppo Pattuglia Popolare ha riunito più di mille persone a Belgrado per esprimere sostegno a Mosca e per condannare la neutralità del proprio governo. Il gruppo è noto per la glorificazione dei criminali delle guerre degli anni Novanta. Le due cose non sono scollegate. L’estrema destra nazionalista considera le azioni di Putin in Ucraina una sorta di vendetta contro l’Occidente, che 30 anni fa aveva sostenuto il separatismo delle Repubbliche jugoslave e il bombardamento di Belgrado. Il leitmotiv ‘il Putin di oggi è la NATO di allora’ è imperante in Serbia e sta facendo proseliti anche tra i filo-russi europei.

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Un’altra motivazione è data da una sorta di cortocircuito nell’estrema destra, che vede nella guerra di Putin una lotta contro il ‘governo nazista’ di Kiev. Uno dei pretesti del conflitto è l’integrazione nella Guardia nazionale ucraina del Battaglione Azov, unità militare fondata nel 2014 che riunisce i neo-nazisti europei filo-ucraini (compresi i croati) contro i separatisti del Donbass. Neo-nazisti che accusano altri neo-nazisti di essere neo-nazisti.

Un’ultima giustificazione per la partenza è puramente simbolica, ma proprio per questo ha grande appeal tra gli ultra-nazionalisti. Incastonato tra le autoproclamate Repubbliche separatiste di Dontesk e Luhansk c’è un piccolo territorio chiamato Slavo-Serbia. Tra il 1753 e il 1764 fu concesso a guerrieri serbi e di altre regioni balcaniche a maggioranza ortodossa dall’imperatrice Elisabetta I di Russia per difendere l’impero zarista dalle incursioni ottomane. A più di 250 anni di distanza, la città di Slovianoserbsk rappresenta uno degli avamposti serbi da cui sostenere l’invasione russa in Ucraina.

Foreign Fighters serbi Russia
Volontari serbi nel Donbass a sostegno dei separatisti filo-russi

Sul fronte opposto ci sono gli estremisti di destra croati. Già il 27 febbraio i media di Zagabria hanno confermato che un primo contingente di volontari è partito da Spalato, Zara e Osijek per Kiev e Kharkiv. Tra le decine di mercenari partiti a sostenere la difesa ucraina ci sarebbero leader e ultras della Dinamo Zagabria, in particolare tra quelli dei Bad Blue Boys. I croati vedono negli ucraini una sorta di ‘fratelli’, che li hanno sostenuti nel momento della dichiarazione d’indipendenza nel 1991. L’asse Serbia-Russia, poi, rinsalda questa alleanza votata al sostegno reciproco contro gli occupanti del presente (in Ucraina) e del passato (in Croazia).

Le destre dei due Paesi vedono molti tratti in comune nelle rispettive storie recenti. È così che l’invasione russa dell’Ucraina riporta indietro le lancette della storia di 30 anni. Dal 2014 gli estremisti croati sono stati una costola del Battaglione Azov, con un arruolamento costante di volontari per combattere contro i separatisti del Donbass. Oggi la guerra in tutta l’Ucraina rilancia la loro partecipazione sul campo di battaglia, con tutto il bagaglio di odio e di rivendicazioni suprematiste che può caratterizzare un’ideologia ultra-nazionalista.

Foreign Fighters croati Ucraina
Locandina dei gruppi croati di estrema destra a sostegno dell’Ucraina

Contromisure

Serbia e Croazia sono i Paesi in cui più è evidente il fenomeno dei foreign fighters in partenza per la guerra in Ucraina, ma tutta la regione deve farne i conti. Grazie alle leggi nazionali messe in atto tra il 2014 e il 2015, chi si arruola privatamente e combatte in uno Stato straniero è perseguibile penalmente nel momento del ritorno in patria: originariamente queste leggi sono state approvate per dissuadere aspiranti jihadisti a unirsi all’ISIS in Siria e Iraq.

“Il diritto penale non può essere applicato selettivamente”, ha commentato a Balkan Insight il capo del Comitato nazionale macedone per la prevenzione al terrorismo, Zlatko Apostolovski, spiegando la decisione di estendere la misura anche a chi tornerà dall’Ucraina. Chiunque sia ritenuto colpevole di reclutare, organizzare, finanziare, incoraggiare, guidare o addestrare combattenti stranieri può essere arrestato e condannato. In Macedonia del Nord il reato è punibile con 5 anni di prigione, in Montenegro fino a 10 anni. Anche Kosovo, Bosnia ed Erzegovina, Albania e Serbia prevedono pene tra i 3 e i 15 anni di reclusione.

In Serbia queste leggi sono già state utilizzate anche contro i mercenari partiti per l’Ucraina: tra il 2015 e il 2018 sono stati condannati 29 cittadini serbi per essersi uniti alle formazioni paramilitari filo-russe. Il vero problema è che in tutti i casi la pena è stata sospesa e non si è visto il pugno duro sbandierato nelle dichiarazioni ufficiali del governo e delle autorità giudiziarie. Ecco perché oggi in pochi sono realmente spaventati dalle conseguenze di un ritorno non esattamente trionfale in patria, dopo aver combattuto in Ucraina. È da qui – dalla dimostrazione di credibilità della coercizione legittima – che i governi della regione dovrebbero ripartire. Se non altro per scongiurare il rischio di una nuova frattura a livello etnico/nazionalista nei Balcani Occidentali.

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